Editoriale Archeovercelli: sito scomodo e indipendente dedicato all'archeologia e ai beni culturali del Vercellese - Vercellae: la città più antica del Piemonte transpadano. | ||
Maggio 2009 L'anfiteatro Negli anni Settanta del secolo scorso, quando iniziò l'attività del Gruppo Archeologico Vercellese, Vercelli dal punto di vista archeologico era ben poco considerata. Figuratevi allora si riteneva che l'antica Vercellae avesse un perimetro di poche centinaia di metri e che l'anfiteatro fosse più una leggenda che una realtà, anche se non mancavano elementi per identificarne il sito e le sue dimensioni in antiche carte. Pochi rarefatti "addetti ai lavori" si dilettavano di questi astrusi problemi e gli uffici di tutela erano ai primordi, tanto che era loro "sfuggita" l'enorme necropoli di S. Bartolomeo. Oggi la città brulica di archeologi e di "esperti" e si sta costituendo il Civico Museo Archeologico, si sono avuti ritrovamenti ecclatanti che attestano la grandezza della città romana e la sua importanza nella regione (allora). Quindi era il momento, dopo decenni di oblio, di mettere mano all'anfiteatro, anche perché ormai la zona è una allettante occasione di rivalutazione edilizia. Bene. Il Comune ritiene di dover programmare un'area da destinarsi a "parco archeologico" che probabilmente sarà la prima di molte altre, tra cui la "domus" di Santo Stefano; e poi forse quella delle terme. Bene anche questo, e in linea con l'attesa rivalutazione del Patrimonio Archeologico della città, finalmente riconosciuto. Ma quando viene reso pubblico il progetto per l'area dell'anfiteatro, firmato da un primario studio di architettura torinese, ci troviamo davanti ad una caricatura di parco archeologico che sembra uscita da un set holliwudiano e ad una futuristica reinterpretazione della struttura virtuale di un'arena, con vasca centrale allagabile, strutture in legno ed acciaio ecc., contornata da palazzi di otto piani a "gradinata". Gli aggettivi che possono venire richiamati alla mente di persone minimamente sensibili al Patrimonio Archeologico sono i più vari e tutti poco distanti da "ridicolo" e da "delirante". Tuttavia il progetto viene approvato in Consiglio Comunale con una debole opposizione che puntualizza, figuratevi, la carenza di parcheggi in zona. Tutto questo poteva accadere solo a Vercelli, città che, essendo stata già più volte violentata, si presume sia ormai insensibile. Cosa ne pensino i cittadini, la Commissione edilizia, e soprattutto le Associazioni che si dovrebbero occupare di queste faccende non è dato sapere, anche se qualcuno si è espresso decisamente e stà cercando di contrastare la realizzazione del progetto (SocietàFutura) con argomenti non sempre forse perfettamente centrati e scevri da, per quanto legittimi, moventi politici. La vicenda ricorda da vicino quella della recente ristrutturazione di piazza Cavour e del Broletto e la passata Amministrazione, ma non suscita oggi grandi dibattiti, forse in quanto non tocca il carattere del centro storico. Non dimentichiamo, inoltre, che siamo praticamente in campagna elettorale e che quindi i giornali locali si devono attenere alle regole di questo delicato periodo. Mi sono fatto un esame di coscienza e ho dovuto ammettere che il progetto degli architetti torinesi non è di per sé brutto o del tutto privo di pregi estetici. La cosa che mi ha fatto probabilmente propendere per gli aggettivi poco prima ricordati circa il progetto è stata infatti la sottolineatura della struttura volumetrica, forse sovradimensionata, dell'antico monumento e la stretta prossimità con edifici di grande altezza a fronte di pochi resti di fondazioni in ciottoli incastonati in questa struttura che definire unica è decisamente poco. Avrei sicuramente preferito vedere i resti contornati da una sobria area verde di rispetto e non sovrastati da strutture tanto particolari e grandiose. Ma probabilmente sono vecchio stile e non ho ancora fatto l'occhio a queste novità urbanistiche, soprattutto a Vercelli. Tolte di mezzo, quindi, le qualità estetiche del progetto che possono anche piacere in circostanze normali (magari non proprio a tutti) vediamo come viene trattata la tutela archeologica che è la cosa che ci preme di più. Dal punto di vista della tutela i resti di strutture di fondazione, quindi sotterranee, non richiedono tassativamente di essere lasciate alla luce. Più importante è la documentazione della pianta e della cronologia del monumento, con aree eventualmente "sigillate" per possibili futuri scavi.Nel caso specifico è inoltre possibile, anzi probabile, che intorno all'anfiteatro esistessero altri edifici e l'interesse della Soprintendenza è di allargare l'area di scavo per documentare il più possibile. Infatti, per quanto importantissime, le tracce di fondazione delle mura augustee venute in luce in via Sella dopo lo scavo sono finite sotto le nuove costruzioni con buona pace di tutti. Qui il criterio è lo stesso e le costruzioni previste certamente porteranno a nuovi ritrovamenti e la Sovrintendenza potrà decidere se tenerli in vista nei sotterranei o se, dopo averli documentati, potranno essere asportati o cementificati (cosa accaduta a poche decine di metri dall'anfiteatro nel caso delle banchine del porto fluviale). Dunque si è tentato di coniugare gli interessi dell'archeologia con la riqualificazione urbanistica e con una parte del monumento in vista per ricordarne la presenza nel tessuto della città. A Novara in pieno centro si possono vedere i resti di una torre altomedievale, forse di origine tardoromana, coperti da una lastra di vetro con didascalie. Un piccolo monumento archeologico inserito nell'arredo urbano. Lì non hanno ricostruito la torre in legno e acciaio ed è stata una scelta sobria. Da noi hanno forse lasciato briglia sciolta agli architetti che ne hanno approfittato per fare un progetto un poco sopra le righe, per intenderci di quelli che si troveranno nei manuali di architettura del futuro. E' una questione di gusti. Il vero problema è, come giustamente sottolineano a SocietàFutura, quanto ci costa. Non vorrei che con i fondi che saranno spesi per le strutture in legno di un anfiteatro immaginario, che non è il più grande d'italia come hanno titolato i giornali ma che è proporzionato alla pur notevole importanza della Vercelli romana (grande come quello di Tarragona) si sarebbe potuto fare qualche cosa di sobrio, come a Novara, sia per l'anfiteatro sia per la domus di S. Stefano che è un'altra grossa emergenza archeologica della città che da decenni è coperta da lamiere nei pressi del castello visconteo e chissà in che stato. E' una questione di gusti e di sobrietà. Su questo punto mi piacerebbe che questa Amministrazione si facesse un esame di coscienza prima di dare il via ai lavori, pensando a quanto fin qui ha fatto di buono per l'archeologia ed il Patrimonio Culturale vercellese e quanto potrebbe farne ancora se fosse riconfermata. Vercelli, maggio 2009 Giovanni Sommo
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Dicembre 2008 Una lunga guerra Perché un sito dedicato all'archeologia e ai beni culturali di una città come Vercelli, addormentata fra le risaie e destinata ad una tranquilla decadenza? Perché vi si è combattuta una lunga guerra fra due modi di vedere la città ed il suo, tutt'altro che tranquillo e poco interessante, passato. Quando nel 1972 iniziai ad occuparmi, con molta ingenuità e poca preparazione ma con una ardente passione, dell'archeologia vercellese nulla in questo campo si era più agitato dacché se ne erano andati il Padre Bruzza e il notaio Leone. Nessuna nuova scoperta era da tempo segnalata, non già perché non ne avvenissero ma perché nulla trapelava. Interessarsi di queste cose allora a Vercelli era pionieristico, si arava una terra incolta da quasi un secolo. Per me l'inizio dell'avventura fu il campo archeologico dei "G.A. d'Italia" di Tarquinia e lo scavo della "tomba del Sambuchino" a Cerveteri. Conobbi Ludovico Magrini e Mario Moretti . Fu così che nacque il "Gruppo Archeologico Vercellese" sotto la "paterna" e bonaria protezione dell'allora direttore del giornale "La Sesia", dottor Tarchetti ; stimabile persona, preoccupato di arginare un giovanile entusiasmo spesso prorompente e imprudente, ma, e lui certo l'aveva capito, sincero e costruttivo. In quegli anni lavorava alle sue ricerche a Trino Silvino Borla e fu una scoperta per noi il suo metodo e la sua altrettanto giovanile e entusiastica visione dell'archeologia locale. A Borgosesia lavorava Strobino, sul Monfenera, e anche lì si percepiva la bontà del volontariato in archeologia. Nel Biellese molti, forse troppi, si interessavano alle "aurifodine" della Bessa e ci lavorava da tempo Scarzella. Alcune mie passate esperienze come volontario con il professor Mario Napoli ad Elea mi avevano familiarizzato con le Soprintendenze e i colloqui con Carducci a Torino ci avevano dato un certo margine operativo. Allora, va ricordato, lo scavo stratigrafico in Italia non era ancora praticato. Le ricognizioni di superficie e i "piccoli sondaggi" nonché la raccolta di materiali di superficie erano cose fattibili se puntualmente relazionate agli Uffici competenti. Per questo, e forse in mancanza di meglio, la collaborazione di personaggi come noi era tollerata. L'importante era la lealtà nei confronti dello Stato. Furono gli anni più importanti per l'attività del Gruppo che ebbe parecchia fortuna anche perché dovunque a Vercelli, a ben guardare, c'era di che stupire. Purtroppo nello stesso periodo altri si occupavano di archeologia a Vercelli e nel Vercellese e venne fuori il saccheggio della necropoli romana di San Bartolomeo, dove i "tombaroli" vendevano per strada il prodotto della loro giornata o nottata di lavoro, dove le capanne degli orti si spostavano di giorno in giorno per occultarne le imprese notturne. Denunce, perquisizioni, personaggi insospettabili coinvolti in detenzione e traffico di oggetti di scavo segnarono la cronaca cittadina. Ma la cosa peggiore fu quella di vedere lo Stato spesso soccombere, come capitò anche alla Soprintendente Liliana Mercando, di fronte alla legge, capitò anche a Silvino Borla nel disperato tentativo di salvare la foresteria di Lucedio, capitò poi anche a me di essere messo alla gogna, per futili motivi e in altre circostanze. In città si era combattuta una guerra, noi non ce ne eravamo accorti, ma l'archeologia, da tutti ignorata nel 1972, era diventata un campo di battaglia costellato di astuzie, tradimenti e di pochi atti eroici. Lo Stato ha comunque vinto, alla fine, e anch' io credo di avere dato il mio contributo personale di "sangue". Poi l'archeologia è diventata improvvisamente la professione desiderata da migliaia di giovani che lo Stato non fu in grado di assumere e nacquero le "Cooperative Archeologiche". Così i giovani si sono accorti che esistono due archeologie in Italia: quella degli "addetti ai lavori" e quella dei "lavoranti", che dà meno soddisfazione perché la "proprietà scientifica" del lavoro la cedi ad altri. Ora lo scavo stratigrafico è passato anche in Italia, il metodo ufficialmente adottato, è proibito raccogliere cocci, ma l'archeologia italiana continua ad avere bisogno di lealtà nei confronti dello Stato. Stato che, in Italia, non si potrebbe permettere di rifiutare l'aiuto nella ricerca e nella tutela da parte dei cittadini e dei cultori ma che non è in grado, salvo alcuni rari casi, di utilizzarlo al meglio e di coordinarlo. E così il volontariato archeologico, che spesso ha formato gli odierni archeologi, non ha trovato una collocazione nel triangolo di tutela Stato-Università-Volontari, che altrove permette un capillare controllo e nuove scoperte e che in Italia consente invece metal detector, esportazione di reperti, cantieri incontrollati. Il sito che ricorda l'attività del Gruppo Archeologico Vercellese è dunque un "cippo alla memoria" e insieme un "quadrato" della Vecchia Guardia che continua ad avere qualche scaramuccia con i pochi nemici rimasti e a battersi contro lo scempio del paesaggio, del patrimonio del passato, dell'essenza stessa del nostro retaggio. Mi consola, oggi, vedere che, grazie soprattutto alla lunga attività svolta dalla Soprintendente Liliana Mercando e dalle sue &laqno;allieve», ben poco sfugge al controllo e le cose a Vercelli sono cambiate, a tal punto che vi sarà costituito il Civico Museo Archeologico, che molti avevano auspicato e primo fra tutti, nel 1875, Luigi Bruzza, al cui nome vorremmo fosse dedicato. La svolta è avvenuta a livello municipale con la percezione diffusa dell'importanza, anche economica, della conservazione e messa in valore delle notevoli risorse culturali della città. Ma in questo campo molto resta da fare, anche se le basi sembrano solidamente gettate. Le mutevoli sorti della politica locale e la presenza di amministratori meno sensibili hanno già in passato sconvolto altrettanto benemeriti progetti, castigato lodevoli intenzioni, coperto spregevoli scempi ed azioni illegali. Archeovercelli vorrebbe essere un osservatore scrupoloso e imparziale e forse anche uno stimolo e un riferimento "storico" delle vicende locali legate ai Beni Culturali. Vercelli, dicembre 2008 Giovanni Sommo
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Amiternum anfiteatro, I sec. d. C. (http://www.archeologia.beniculturali.it/pages/BandiECapitolati.html) Dicembre 2009 Il museo archeologico e il Bruzza Ho scritto giorni fa una letterina alla Posta dei Lettori de "La Stampa" per rispondere a Marco Reis e in qualche modo appoggiarne il punto di vista sull'anfiteatro. Nella parte finale non ho potuto fare a meno di paragonare il faraonico progetto urbanistico con quello che sarà il Museo Archeologico Civico che attendiamo dal 1875. Il timore è che, nonostante il Sindaco tenga alla realizzazione di entrambi i progetti, si verifichi per entrambi una situazione spiacevole. Per l'anfiteatro uno stallo per eccesso di fantasia, per il Museo una ennesima falsa partenza per il motivo opposto. La responsabilità dell'amministrazione di una città in declino non è cosa facile, e la determinazione dell'attuale Giunta di realizzare qualche cosa di nuovo e di buono per il Patrimonio Archeologico vercellese è dimostrata dai fatti e deve essere incoraggiata. Tuttavia, forse senza averne l'intenzione, l'attuale Amministrazione sta preparando una piccola Waterloo. Da una parte con il progetto Isola va raccogliendo parecchie legittime perplessità sulla fantastica realizzazione, unica nel panorama archeologico, di una struttura lignea sovradimensionata che dovrebbe ricordare le volumetrie del monumento, con cavea allagabile (?!!), il tutto inserito in un'area condominiale fra altissimi nuovi palazzi, ciò con intenti speculativi abbastanza palesi. Dall'altra, dove servirebbe spendere per avere un'istituzione museale all'altezza dei tempi e delle potenzialità archeologiche della città, si va verso una sede museale di compromesso con spazi oscuri ed angusti dove non potranno certo confluire le migliaia di reperti vercellesi custoditi in Soprintendenza, nè tantomeno i depositi dei futuri ritrovamenti. Forse occorrerebbe spostare un poco della grandiosità del progetto per l'anfiteatro verso le ristrettezze del Museo Archeologico, progettando una sede adatta non solo all'esposizione dei reperti e alla necessaria didattica, ma anche per i depositi e gli uffici da destinare al personale, che si occuperà non solo del Museo ma anche della sorveglianza e fruibilità delle aree archeologiche della città. Con questo si eviterebbe il ripetersi di antiche esperienze, come quelle che portarono alla dissoluzione del progettato Museo Civico e Lapidario Bruzza nella seconda metà dell'Ottocento, con effetti nefasti per la tutela archeologica cittadina. Si avrebbe così la possibilità di valorizzare, insieme con le raccolte civiche depositate al Leone, anche la non infima tradizione di studi antichistici che ha caratterizzato la storia vercellese negli ultimi due secoli. Ma i problemi economici che sono alla base di scelte, apparentemente non del tutto centrate, non rappresentano i soli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una politica continuativa e costruttiva dedicata al Patrimonio Archeologico cittadino. Infatti l'alternarsi di Amministrazioni diverse e con posizioni contrastanti circa la questione archeologica e le risorse da destinarvi sarà determinante per la riuscita di una realizzazione che, comunque, va apprezzata e lodata. In definitiva ci potremmo accontentare di un'area archeologica del tutto normale fra i palazzi da costruire, magari sistemata a giardino, e con il notevole risparmio economico derivato dai costi per le strutture lignee e per la cavea allagabile, potremmo dedicare le risorse risparmiate al Museo Archeologico Civico che così davvero rappresenterebbe un monumento dedicato al povero padre Bruzza, che alla fine non ha avuto grande fortuna nelle proprie iniziative civiche, e all'archeologia vercellese. Va ricordato infatti che, solo qualche decennio addietro, chi si sbracciava per la tutela dell'archeologia locale era, per usare un eufemismo, considerato un romantico visionario rompiballe, e a qualcuno la sottovalutazione imperante del problema permetteva di costruire in pace e senza ostacoli burocratici. Si faccia quindi questo Museo, ma dandogli un indirizzo che costringa le future amministrazioni a dedicarvi attenzione e risorse nei prossimi anni, e in una sede che ne permetta l' ampliamento con i ritrovamenti che certo non mancheranno. Se l'istituzione avrà la giusta impostazione sarà nei prossimi anni una importante risorsa per la città che, a differenza di altre, gestite da soggetti esterni come la Peggy Guggenhaim Collection, rapprersenterà la valorizzazione di un patrimonio locale che da tempo attendeva di essere riconosciuto come tale e inserito in un sistema museale comprendente le raccolte del Leone e del Duomo. Vercelli, dicembre 2009 Giovanni Sommo
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