Vercelli,

Museo Francesco Borgogna

 

 

 

Laura Berardi

Dal volume:

A cura di Gianni Carlo Sciolla

"...quei leggerissimi

tocchi

di penna

o matita..."

Edizioni Charta

Sesto San Giovanni 1996

pp. 224-237

 

 

 

Vercelli, Museo Francesco Borgogna

 

Laura Berardi

 

 

Il museo Francesco Borgogna venne istituito con regio decreto del 1907 per legato testamentario dell'avvocato Antonio Borgogna, che vi aveva lasciato dipinti, oggetti d'arte e mobili, tesaurizzati con trentennale fervore collezionistico in prospettiva museale, nell'intento di dotare Vercelli di uno strumento di conoscenza diretto in tutti gli ambiti, le aree e i momenti artistici, compreso il segmento a lui coevo. Ambendo egli a promuovere la propria città a specchio di fatti e saperi passati, presenti e a raggio internazionale, il suo museo costituiva un microcosmo pluridimensionale di materiali; tecniche, stili e gusti della storia culturale europea, la cui campionatura è tuttora significativa, e di fatto era una registrazione, per quanto periferica e soggettiva, esemplare della produzione, del gusto e della tendenza a una conoscenza positivista e universale tipici di quell'epoca, diventando per noi oggi testimonianza emblematica del suo tempo. La sensibilità sintonizzata col presente e l'interesse per la contemporaneità lo distinsero dall'altro grande collezionista vercellese suo coetaneo, Camillo Leone, come pure da lui lo differenziò la conoscenza, piuttosto che erudita, fondata sulla presa visione e sulla diretta esperienza; cosicché essenziali per il Borgogna furono il viaggio e l'assidua frequentazione personale dei luoghi d'arte, fossero le esposizioni internazionali, gli atelier, i musei, gli antiquari e le vendite all'asta, particolarmente numerose queste ultime nell'Italia liberista degli anni di tardo Ottocento. Questa premessa favorisce una lettura del Museo Borgogna approfondita oltre gli attuali .connotati del suo allestimento, evoluto a partire dal 1934 anche in senso locale-territoriale e molto, molto più asettico di quanto non documenti il minuzioso inventario topografico del 1904, constatato dal notaio nel 1906 in esecuzione testamentaria. Pur nella notificazione di assetto dalla matrice originaria, il secondo e il terzo piano espositivi guadagnano una dimensione residenziale, evocativa almeno della prima configurazione. In tale contesto si collocano anche i disegni, soltanto alcuni - giacché ne mancano al riscontro inventariale - fra quelli che Antonio Borgogna aveva appeso, acquerelli e tempere intonati a un apprezzamento più pittorico che grafico, alle pareti delle sue stanze, affiancati a tavole, tele, quadri in mosaico o in commesso a pietre dure, porcellane dipinte e vetri smaltati. Assolvono a un ruolo decorativo le quindici tempere con divinità, trionfi e allegorie dell'amore, copiate dagli affreschi del palazzo Ducale di Mantova da Felice Santoloni nel primo Ottocento e altre ancora d'impronta e a soggetto neoclassico, concluse da otto studi di pareti "alla pompeiana". Il gusto per la copia è molto presente nel collezionismo Borgogna; all'insegna della riproducibilità artistica, forma di conoscenza per possesso, legittimata dall'Ottocento non la fotografia - all'unicum, ma al contrario dalla natura autografa dell'oggetto suo rappresentante, stanno a pari dignità con capolavori autentici molte opere raffiguranti celebri dipinti delle principali pinacoteche europee, condotte al riconoscimento con 'originale mediante tecniche artistiche le più disparate, dallo smalto su porcellana al disegno, secondo modalità espressive più o meno differenziate. Personalissime sono quelle di mano della pittrice Emilie Rouillon, autrice di acquerelli e tempere eseguiti nei musei romani e fiorentini fra il 1880 e il 1890, dal Francia, al Tiziano, al Volterrano. Altri disegni contemporanei sono il Vecchio soldato acquerellato da Gerolamo Induno, presente anche con molte tele, e due acquerelli li Enea Monti, pittore dell'entourage del celebre accademico - e personale amico dell'avvocato vercellese - Stefano Ussi, del quale un'opera copia un originale di soggetto esotico e l'altra ne descrive lo studio di artista. Preziosi pezzi antichi sono invece la Crocefissione attribuita a Giulio Clovio e acquistata per tale dall'antiquario Sangiorgi di Roma e i Pattinatori nella maniera di Esaias van der Velde, una fra le molte opere nordiche che Borgogna raccolse, acquisita all'asta milanese della collezione dei Baroni Ravicz di Verona, ivi già proveniente dalla celebre raccolta veneziana Manfrin. Pure da una vendita milanese, nel 1900, Borgogna ottenne la tempera nei modi tipici del pittore Mario dei Fiori. Infine compaiono un Cupido da Mengs e una testa di giovane, penetrante e insieme delicatamente colorata, attribuita ad Andrea Appiani e acquistata presso i Fratelli Grandi di Milano, antiquari di grafica. Il disegno recante la firma di A. Van Dyck proviene con molti altri fogli dall'asta Borg de Balzan, di cui si parlerà successivamente. I centauri rapiscono le donne dei Iapiti, attribuito a Rubens, è invece un documentato dono del primo presidente del museo, Francesco Borgogna, nipote del collezionista. Entrambi i disegni sono esposti solo dal 1978. Fra i disegni mancanti, l'inventario di Antonio Borgogna ne annovera ancora molti di produzione contemporanea, copie dai classici, scene di genere, storiche, simboliche, soprattutto tedesche, e altri antichi. Sono altresì menzionati tre disegni in matita e/o penna, uno anche seppiato, acquistati presso la vendita, tenutasi a Milano nel 1899, della "Galleria di quadri antichi del fu Marchese Mercurino Arborio di Gattinara"; la descrizione data dal catalogo ne fa rimpiangere la perdita, giacché sarebbero stati tratti dalle porzioni danneggiate degli affreschi di Gaudenzio Ferrari in San Cristoforo a Vercelli prima dei cannoneggiamenti. La sopramenzionata Galleria era patrimonio del l'importante casato vercellese, situata presso la dimora nell'attuale via Piero Lucca, famosa e più volte annoverata dalle guide di Vercelli fra le cose rimarchevoli della città. Il suo smembramento all'asta milanese non sarebbe potuto passare senza che proprio un assiduo frequentatore e acquirente come Borgogna, per giunta vercellese, si aggiudicasse più di una decina di pezzi, fra dipinti e disegni. Senza contraddire al suo gusto, tant'è che vi acquisì anche due rami e due disegni (ora perduti) fiamminghi, l'avvocato Borgogna non disdegnò, e perché mai i molteplici orientamenti della sua geografia culturale senza confini avrebbero dovuto farlo, le opere locali, tanto più in quanto non direttamente derivanti dal territorio e pertanto, secondo la sua predisposizione metalinguistica, impreziosite di valenze. Oltre alla grafica esposta, l'autentica sorpresa che il museo riserva è data da ottantuno fogli dimenticati in archivio e passati inosservati fino oggi. Al n. 32 del camerino n. 14, Borgogna comprende in inventario una "grande cartella in cartone contenente stampe, disegni, fotografie, etc. etc.". Con sommaria ispezione, fra i pezzi annotati egli descrive i disegni acquistati all'asta Scarpa e segnala una "collezione di molti disegni originali, di vari autori proveniente all'asta Borg de Balzan", dandoceli per "provvisoriamente" conservati in un album (sembra di intendere diverso dalla cartella sopracitata) nella libreria, mescolati a fotografie di vedute e monumenti di località visitate. Dei disegni esistenti molti rientrano nei due distinti gruppi riferiti dal Borgogna e sono individuati dalle annotazioni sue autografe sull'asta di provenienza. Per un terzo invece non hanno nessuna identificazione collezionistica, non sono mai menzionati dall'inventario, come da nessun'altra fonte in museo. Un'eccezione viene però in soccorso: un foglio attribuito al Correggio e privo dell'indicazione di mano di Borgogna, esaminato sul retro separabile dal controfondo, ha rivelato la sua antica appartenenza alla raccolta Maggiori, che, come vedremo, era compresa nei disegni di Borg de Balzan. Sui fogli privi di annotazione Borgogna potrebbe essere venuto meno alla sua abituale registrazione dell'asta, in analogia con altre omissioni e sviste in altri casi accertabili, pur essendone l'acquirente. Del resto è molto suggestiva la coesione formale dell'insieme dei disegni. Certo, una loro trattazione meno lacunosa e più sistematica da parte del nostro collezionista ne favorirebbe lo studio e paleserebbe una più persuasiva inclinazione alla raccolta grafica, liquidata troppo frettolosamente dall'inventario; è poi di disturbo quella commistione, nella grande cartella e nell'album, di fogli di disegni - e di incisioni - con fotografie, cromolitografie e affini, presunti oggetti di studio insieme ad appunti di viaggio. Tuttavia, alla giustificazione di provvisorietà, per altro persistente e rimasta tale, va aggiunta a favorevole disposizione dell'avvocato per i repertori d'immagine, ad attribuire valenza comunque positiva all'insieme riunito; né l'assenza di gerarchia deve infastidire, con la Tiente non già al nitore selettivo dell'allestimento attuale, ma a immaginare col soccorso dell'inventario l'assoluta promiscuità dell'originario arredo. Inoltre, vanno considerati questi raccoglitori di mescolate testimonianze anche come possibile luogo di affezione; non solo rifugio e protezione di quanto non incorniciabile, ma anche ambito appartato di memorie e di rammarico per interessi defilati: quel "provvisoriamente", che vorrebbe smentire una sistemazione in realtà durevole, può esserne una spia. Quest'anomalia di comportamento rispetto al tutto in vista della casa Borgogna, tipico nel modello ottocentesco di una dimora di rappresentanza o - come nel nostro caso - cresciuta col precisarsi di un intendimento palesemente museale, non a caso si applica l'interesse, inusuale per un collezionista che non era uno studioso, per quel tipo di grafica da gabinetto pittoricamente non appagante, prodotto non terminale ma germinale di un processo artistico e perciò intrinsecamente e autonomamente valido solo agli occhi di un fruitore predisposto e preparato. Mentre si coglie coerenza tra personalità e ambiente nell'esposizione di acquerelli e tempere accanto ad altri quadri e ad altri oggetti, pare insomma non del tutto appropriato al collezionista vercellese, pertanto forse meno accurato, il possesso di disegni l'interesse specialistico, studi, bozzetti e schizzi, su fogli spesso minuti, irregolari, ritagliati e frammentati, su fragili carte, già rinforzate da controfondature e rinteli, consunte dall'uso e tagliate dalla corrosione degli inchiostri. Ritengo che a giustificare questo lato tanto inconsueto da risultare vagamente conflittuale, a spiegare questa tranche di materiali inusuali stia la presenza attiva di un altro e ben distinto personaggio, riconoscibile nella figura di Gustavo Frizzoni. Quel che di lui sappiamo ce lo mostra convinto e fedele seguace di Giovanni Morelli, dagli inizi degli anni Settanta fino alla morte nel 1919, assertore del suo metodo e di precisi principi e atteggiamenti culturali, condivisi e perseguiti anche dopo la perdita del maestro, particolarmente aderenti a una interferenza con il caso Borgogna. Fondamentali e per noi emblematici sembrano essere l'assoluto rilievo dato da Frizzoni al rimato e allo studio del disegno e il legame, di promozione e di sostegno, col collezionismo ottocentesco borghese, tanto più se portavoce di istanze di valorizzazione e orientato a condurre i propri investimenti d'arte a beneficio del godimento pubblico e dell'incremento del patrimonio culturale nazionale. E' appunto nel ruolo di guida che Gustavo Frizzoni si profila dietro gli acquisti di Antonio Borgogna nella specifica occasione dell'asta della pinacoteca Scarpa, nel novembre del 1895, dove il nostro collezionista si aggiudicò l'ultimo e unico lotto di disegni, cinque fogli dalle attribuzioni prestigiose e di grande valore storico. La presenza di Frizzoni all'evento è documentata dal puntuale resoconto che ne diede sul numero di novembre-dicembre 1895 della famosa rivista "Archivio Storico dell'Arte", della quale era assiduo collaboratore; significativamente l'estratto con l'articolo in questione è presente in museo con tanto di dedica dell'autore al Borgogna. Che egli abbia inoltre indirizzato l'amatore vercellese con consigli e segnalazioni è provato almeno nel caso del tondo posto in vendita come Cesare da Sesto e acquistato dal Borgogna per essere in realtà un Sodoma, secondo una correzione attributiva documentatamente verificatasi in corso d'asta e di certo operata dallo studioso che la sostiene nella sopraricordata recensione alla mostra. Certo non si ha testimonianza direttamente riferita ai disegni, come, per ora, non è dato di precisare il rapporto Borgogna-Frizzoni; anzi, il fatto che il corposo acquisto all'asta Borg de Balzan sia stato condotto dal Borgogna nel 1894, un anno prima del provato suo contatto con Frizzoni all'asta Scarpa, sfumerebbe l'influenza dello studioso sul collezionista. Tuttavia, dietro all'incetta del 1894 di disegni all'apparenza spesso inappetibili - ma di estremo interesse per il conoscitore - si deve intravedere un valido supporter affiancatosi al Borgogna, una figura, allertata dallo smembramento e dalla comparsa sul mercato dei beni del museo Borg de Balzan, sensibile anche alla presenza, affatto frequente tra i pur eclettici repertori di simili collezioni allora poste in vendita, di un fondo grafico non particolarmente pubblicizzato e invece decisamente consistente e dalle intriganti connotazioni. L'inusuale "chicca" dovette evidenziarsi allettante per qualcuno, a maggior ragione più esperto di Borgogna, se la presa fu così determinata e ricca. E' proprio la totale assenza di segnature e annotazioni, consuete invece sui cataloghi d'asta in mano al Borgogna - perché mirate a valutazione e conteggi - e presenti proprio dei disegni, potrebbe segnalare una sostanziale disattenzione del collezionista per essi, modificata da un provvidenziale intervento persuasivo all'acquisto, così tempistico e autorevole da bruciare ogni procedura. Infine, non credo casuale che sia presente in museo una rivista come "Archivio Storico dell'Arte", troppo specialistica per il Borgogna, ma familiare al Frizzoni, e che per di più compaia esclusivamente negli anni cruciali in questione. Non solo risultano i numeri a partire dall'articolo sull'asta Scarpa, del novembre dicembre 1895, per tutto il 1896 e poco dopo; ma, indizio di un legame appena precedente fra i due, Borgogna si procurò tutta l'annata 1895 e credo parte del 1894 (se ne conserva solo un frontespizio senza indicazione del mese), anno della vendita Borg de Balzan. Dunque, il primo fondo in ordine di tempo documentatamente acquistato dal Borgogna proviene dal museo Borg de Balzan di Firenze, costituito dalle raccolte di m.r Borg de Balzan allestite presso il suo villino di piazza Savonarola, ritrovo e riferimento per artisti, poeti, pittori e musicisti della città negli anni presumibilmente fra il 1870 e 1890. Nato a Malta, ma naturalizzato francese, prima di abbandonare la diplomazia per stabilirsi a Firenze, Borg de Balzan aveva condotto una brillante carriera consolare, che gli aveva consentito molti viaggi e la raccolta di opere arte da più parti dell'Europa e in particolare modo dal Nord. Questa eclettica galleria di quadri, vetri, ceramiche e oggettistica varia, al cui gusto Borgogna si assimilava, era infatti molto ricca di dipinti fiamminghi e olandesi, che il collezionista vercellese acquistò in considerevole numero, oltre a due presunti Canaletto. Sul catalogo d'asta i disegni appaiono numerosi: acquerelli, gouaches e pastelli, pressoché tutti moderni, seguiti da fogli antichi di tipo più strettamente grafico, distinti tra autori italiani, francesi, fiamminghi e olandesi, accompagnati da descrizione; "divers", dalle attribuzioni campionate tra fogli misti inquadrati in gruppo; "inconnus". Nel catalogo, lasciato intonso dal Borgogna, dalle descrizioni identifichiamo però il Van Dyck con Minerva e la Musica, unico di questi disegni attualmente esposto, e fra i "divers" riconosciamo, anche mediante le specifiche e particolari attribuzioni (Lama, Antonio da Trento, Il frescante di Fiesole, Brizio e Nebbia), quelli recanti l'indicazione del Borgogna sull'asta di provenienza, quarantotto fogli dai formati piccoli e irregolari - per ciò aggregati in composizioni varie - tutti di pittori italiani, tranne uno. Nessun disegno è invece riscontrabile tra gli "inconnus", cui ho tentato invano di poter assegnare con certezza i fogli ignoti del museo non annotati. Considerando le caratteristiche dell'insieme della grafica al Borg de Balzan, sono sempre più convinta della "intromissione" di un esperto nell'acquisto del Borgogna, che non ha stranamente preso in considerazione i moderni si è orientato, tranne che per il Van Dyck, coerente con la massiccia aggiudicazione di dipinti fiamminghi, su disegni tutù italiani e scarsamente appariscenti. La loro incorniciatura occultava il fatto che il collezionista fiorentino avesse introdotto nella propria raccolta parte del più antico fondo appartenuto al nobiluomo marchigiano Alessandro Maggiori, i cui disegni sono individuati dalle puntualizzazioni dell'antico possessore sul verso dei fogli. Il Maggiori, recentemente assunto all'interesse degli studi, visse tra il 1764 e il 1834; fu dilettante disegnatore e pittore, passato dalla raccolta di fogli per esercitazione al collezionismo appassionato e colto nel contempo, perseguito con sistematicità e persistenza da esperto conoscitore, tuttora affidabile. La sua attività di ricerca si svolge tra il 1785 e il 1817, come documentano le registrazioni di suo pugno sui fogli noti, indicanti data e località di acquisto. I disegni ora a Vercelli vanno dal 1788 al 1817 e si collocano tra Bologna, quelli di prima acquisizione, Roma e uno a Livorno. Non si sa quanti fogli originariamente costituissero il fondo Maggiori, è presumibile che fossero molti dal loro frequente comparire in musei di tutto il mondo e sul mercato; né sappiamo esattamente quanti ne comprendesse il museo Borg de Balzan; questi inediti reperiti ora al Borgogna sono 32 e, come sembrerebbe dall'arco cronologico e dai centri d'acquisto interessati, abbastanza rappresentativi della formazione complessiva, almeno di quella che sino ad oggi è dato di conoscere. La nota propensione del Maggiori per l'arte emiliana del secolo XVII, soprattutto, e del secolo XVIII è nella porzione vercellese ben confermata dai molti disegni con segnalazione attributiva ai grandi protagonisti di quella cultura (Carracci, Lanfranco, Albani, Reni, Domenichino) ed effettivamente riconducibili ad artisti, se pur di minor spicco, rientranti in quell'area. Tuttavia la presenza emiliana di quel periodo a Vercelli non è del tutto preponderante, comparendovi un cospicuo numero di disegni ritenuti manieristi, quasi tutti acquistati a Roma, e ora parzialmente confermabili. La raccolta Borg de Balzan amplia il fondo Maggiori incrementando l'ambito manierista, con due disegni toscani, e aggiungendovi fogli trecenteschi e soprattutto settecenteschi, in ragione dell'avanzamento cronologico dell'epoca del collezionista, resi a volte più ambiti da improbabilissime assegnazioni importanti e retrodatate. I sei disegni attribuiti e di provenienza non segnalata probabilmente fanno parte del medesimo fondo Borg de Balzan, al quale sono molto omogenei. Infine, compaiono una ventina di fogli completamente privi di indicazioni, tardo secenteschi e settecenteschi. Tutti i disegni considerati necessitano di una specifica analisi in sede di approfondita disamina critica, oltre la presente opportunità di mera segnalazione. La Pinacoteca Scarpa di Motta di Livenza in Friuli, costituita nel primo Ottocento dal collezionista medico Antonio Scarpa in due sale della propria villa e messa all'asta dagli eredi a Milano nel 1895, nel catalogo di vendita risulta possedere solo quei cinque disegni acquistati da Borgogna. A prescindere dall'entità, che potrebbe essere stata decurtata rispetto all'origine, la considerevolezza del fondo grafico sembra apparire da un foglio già appartenuto ad una raccolta di livello internazionale, famosa al suo tempo e nella storia del collezionismo, quella modenese degli Este, ormai divisa, la parte nota superstite, tra la Galleria Nazionale di Modena e il Gabinetto del Louvre, dirottatavi da Napoleone. Il foglio ora a Vercelli reca un personaggio nudo da tergo in riferimento con Bacco, a sanguigna; messo all'asta con un'assegnazione di tutto riguardo ad Annibale Carracci, reca l'inequivocabile marchio di Francesco II d'Este, il quale, duca di Modena dal 1662 al 1694, continuò e incrementò notevolmente le collezioni di dipinti e di disegni (2840 ca. ne contava l'inventario Donzi del 1668) iniziate sul finire del Cinquecento dai suoi predecessori. A questo segno si aggiunge un sigillo in ceralacca del tutto simile a quello noto di Alfonso III d'Este, da cui si differenzia riscontrandosi per la prima volta in assoluto tra i fogli estensi noti - per ribaltare l'occupazione dei gigli di Francia e dell'aquila inquartati (come peraltro pare avvenga anche in altre effigi dello stemma estense) e riportare, in luogo delle lettere A a sx ed E a dx, le iniziali F ed E, credo logicamente riferibili o a Francesco I o a Francesco III, duca all'epoca di Antonio Scarpa. Proprio Francesco III in persona pare abbia invitato lo Scarpa, poco più che ventenne, a occupare intorno al 1774 la cattedra di anatomia dell'Università di Modena, città ove si conquistò la benevolenza del duca e risiedette fino al 1783, allorquando spostò la sua luminosissima carriera all'Università di Pavia. Ma alla storia si aggiunge un terzo anello, giacché il disegno reca anche il timbro dell'Accademia di Belle Arti di Modena, al quale, con l'istituzione nel 1870, si destinarono parecchi disegni della collezione estense, soprattutto nudi per le esercitazioni didattiche. Tra il 1780 e il 1783 si può dunque ritenere che lo Scarpa sia stato omaggiato del nostro foglio dall'Accademia, probabilmente in segno di deferenza ai suoi meriti - e alle protezioni ducali - e in ossequio al suo spiccato gusto artistico, coltivato dal collezionismo e dalla pratica stessa del disegno, in cui pare fosse valentissimo. Pur nell'ipotesi che il marchio di Francesco II - e non quello inedito - sia il più antico, il disegno si data comunque non oltre il 1694, in suggerimento ancora con la cultura carraccesca; va anzi tenuto conto che entrambe le marche estensi sono apposte già sul rinforzo in tela del foglio. Del secondo disegno dalla Pinacoteca Scarpa, una sanguigna con testa giovanile inopportunamente attribuita al Correggio, è leggibile solo il sigillo dell'Accademia modenese; la provenienza identica all'altro disegno nel tratto finale e la traccia di un ulteriore sigillo sul recto rendono plausibile ritenerlo anch'esso già appartenuto alle ducali raccolte estensi. I tre disegni tratti da Gaudenzio Ferrari risultano malauguratamente perduti, dal medesimo acquisto di grafìca della Galleria Arborio di Gattinara, all'asta milanese nel 1899, sono invece tuttora conservate due copie da dipinti laniniani. Una ha particolare interesse, venendo a inserirsi in un recente contesto di segnalazioni, cui aggiunge un tassello. Essa rileva un perduto affresco di Madonna in trono fra i santi Sebastiano e Rocco e donatore di Bernardino Lanino nell'antica basilica di Santa Maria Maggiore in Vercelli, chiesa abbattuta nel 1776; l'opera laniniana era stata resa nota nel 1985 da Giovanni Romano attraverso la redazione grafìca di Edoardo Mella, del 1866, conservata presso l'istituto di Belle Arti. Tale disegno e la sua lunga didascalia illustrativa riprendevano un "disegno a matita esistente nella Galleria del Marchese Gattinara in Vercelli", ovvero il nostro, di mano del pittore Torricelli, come dichiarato nell'iscrizione (autografa?) retrostante, unica opera vercellese di lui pervenutaci. Alessandro Baudi di Vesme la ricordava nelle proprie schede, presente all'asta della Galleria nel 1899. Poiché la leggenda riferisce della localizzazione dell'originale laniniano nella chiesa e insieme del suo parziale recupero - la Madonna col Bambino centrali - dalla demolizione a cura e presso la famiglia Gattinara, il disegno che lo copia integralmente è databile a ridosso dello stacco nel 1776, se la scritta è di pugno del Torricelli appositamente impegnato a documentare l'affresco prima della distruzione e a segnalarne la presenza superstite, o comunque i un non meglio precisato periodo della pittura in sito, prima del 1876, 7e la scritta è un anonimo ragguaglio che successivamente - ma non troppo, a giudicare dalla freschezza della memoria - identifica dal disegno l'opera intera, -collegandola al frammento in esposizione privata. Gaspare De Gregory nella sua Istoria della vercellese letteratura ed arti, edita fra il 1819 e il 1824, in ben due occasioni menziona sia l'affresco che il nostro disegno. Al dipinto, che ritiene "un capo d'opera dell'arte" del Lanino, lo storico fa riferimento per identificarvi nel "devoto genuflesso, coll'abito lungo, in atto di adorazione" uno dei ritratti di Gaudenzio Ferrari. Del disegno, che De Gregory precisa essere riproduzione dell'intero affresco dell'arcata della chiesa, a differenza di quello curato da Giovanni Diana col solo stralcio ritrattistico, viene fornita la duplice notizia dell'autore, "Torricella", e del possessore contemporaneo all'Istoria, e più precisamente alla data del IV e ultimo volume contenente la citazione, il "prete Martorelli" (se non già Torricelli, che siano Martorelli o De Gregory gli estensori della didascalia?). Tale religioso potrebbe essere un familiare di una generazione precedente al canonico Igino Martorelli, con interessanti risvolti collezionistici, indicibili in questa sede. Sicché soltanto successivamente, ma prima della copia di Mella del 1866, la Galleria patrizia acquisì, in aggiunta all'originale pittorico frammentario, il foglio documentante l'intera composizione, che dall'espansiva tensione delle due figure centrali dirama suggerimenti spaziali diversificati e vivaci spunti narrativi, liberamente ricoesivi. Il Romano accostava il disegno del Mella mentre non conosceva l'originale del Torricelli, sinora inedito - a una autocromia (lastra fotografica a colori per proiezioni) del Masoero degli anni 1905-10, che è ormai l'unica testimonianza della porzione di affresco da casa Gattinara, stranamente ivi ancora superstite al momento della ripresa, nonostante il Mella lo indicasse già perso nel 1866 e nonostante il già avvenuto smembramento della Galleria. Altrettanto curiosamente, l'autocromia riferisce il frammento a Gaudenzio Ferrari: tale attribuzione può dipendere da un errore del fotografo o da una di già smarrita memoria del disegno settecentesco, pochi anni prima compresente. Il disegno del Torricelli, steso con maggior scioltezza di quello del Mella, anche perché derivante dall'originale senza intermediazioni, molto meglio corrisponde all'effusione ancora gaudenziana della Madonna fotografata, che suggeriva a Romano di datare l'affresco intorno alla metà del quarto decennio del Cinquecento; così come senza imbarazzo, e casomai in forme troppo domestiche, rispetto allo scrupolo tecnico e sentimentale iniettato dal Mella, la grafica del Torricelli ripropone quella spigliatezza che deve aver percorso il dipinto di Lanino con giovanile entusiasmo, dal San Sebastiano agli angeli reggicortina, brani questi già riscontrati dal Romano in riferimento con altre opere laniniane coeve e nel nostro disegno particolarmente vitali.

 

 

Nota bibliografica

 

Atto di costituzione 3.10.1906, notaio Andrea Tarchetti: Allegato A e Allegato B (1° appendice all'elenco della Libreria).

G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, Torino 1819-1824- vol. I, p. 502 e vol. IV, p. 364.

Annuario statistico di Vercelli e più specialmente Guida illustrata, Vercelli 1876, p. 226.

Catalogue du musée Borg de Balzan à Florence, Firenze 1894.

Catalogo della Pinacoteca Scarpa di Motta di Livenza, Milano 1895.

D. Soria, Guida di Vercelli, Vercelli 1857, pp. 54-55.

Catalogo della Galleria di quadri antichi del fu Marchese Mercurino Arborio diGattinara, Milano 1899, p. 35.

L. Baudi di Vesme, L'arte in Piemonte dal XVI al XVIII sec., Torino 1968, pp. 1052-1054.

V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna. I dipinti, Vercelli 1969, pp. 3-14.

L. Berardi, Le collezioni Leone e Borgogna: musei vercellesi del Novecento, in Luigi Bruzza: storia, epigrafia, archeologia a Vercelli nell'Ottocento, Vercelli 1984, pp. 41-44.

G.C. Sciolla, Appunti sulla fortuna del metodo morelliano e lo studio del disegno in Italia, "fin de siècle", in "Prospettiva", nn. 33-36, Firenze 1984, pp. 385-388.

Bernardirno Lanino, a cura di P. Astrua e G. Romano, Vercelli 1985, pp. 22-24, 161-162.

Bernardino Laninno e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 51, 54, 81.

G. Agosti, Giovanni Morelli e Adolfo Venturi, in Giovanni Morelli e la cultura dei conoscitori, Bergamo 1993, p. 266.

L. Berardi, Il civico museo Borgogna. Vercelli, Milano 1985, pp. 3-4 e 56.

A. Morandotti, Il Morelli circle e il collezionismo dei disegni antichi a Milano, in Giovanni... cit., pp. 181-198.

C. Giannini, Giovanni Morelli c il Conte Suardo, in Giovanni..., cit. pp. 199-220.

G. Frizzoni, La Pinacoteca Scarpa di Motta di Livenza, in Archivio Storico dell'Arte,Serie II, VI, Roma 1895, pp. 409-422.

Disegni dal Cinque al Settecento, Monte San Giusto 1992, pp. 9-16.

G.C. Sciolla, Il Disegno. Le collezioni pubbliche italiane. Parte seconda, Cinisello Balsamo 1994, pp. 120-121.

A. Venturi, La Regia Galleria Estense in Modena, Modena 1882.

F. Lugt, Les marques de colletions de dessins & d'estampes, Amsterdam 1921, pp. 20 e 346 e Supplemento 1956, pp. 272 e 427-428.

J. Bentini, Disegni della Galleria Estense di Modena, Modena 1989.

J. Bentini - P. Curti, Ducal Galleria Estense. Dissegni, medaglie e altro. Gli inventari del 1669 e 1751, Modena 1990.

G.C. Sciolla, Il Disegno. Le collezioni pubbliche italiane. Parte prima, Cinisello Balsamo 1993, p. 209.


 

Artista emiliano del XVI secolo, Donna inginocchiata, matita rossa, 104x88 mm, s.n.i.

Giovan Battista della Rovere (?), Convito, penna e inchiostro bruno, 145x252 mm, s.n.i.

Francesco Brizio, Testa di villico, penna e inchiostro bruno, 20x120 mm, s n.

Giuseppe Romei, Scena di battaglia con vescovo, matita e carboncino, 380x280 mm.

Andrea Appiani, Testa di giovane, carboncino, 275x227 mm.

Giovanni Antonio Torricelli, da B.Lanino, Madonna con il Bambino e Santi, matita nera, 440x637 mm.